La Preservazione della fertilità nelle donne

ll termine “preservazione della fertilità” nella donna comprende un insieme di procedure che consentono di prelevare, conservare ovociti o parti di ovaie in condizioni ritenute a rischio futuro di riduzione dell’efficienza del sistema riproduttivo o, in alcuni casi, una vera e propria perdita della fertilità. 

I motivi per i quali si ricorre alla preservazione della fertilità possono essere:

  1. medici;
  2. “sociali”.

Nel primo caso parliamo di tutte quelle situazioni nelle quali una malattia o le cure, che devono essere assunte, possono danneggiare gli organi dell’apparato riproduttivo o comprometterne le funzioni. E’ un percorso nato per salvaguardare la salute riproduttiva delle pazienti oncologiche, che vanno incontro a terapie che possono compromettere irreversibilmente la possibilità di avere un bambino, ma si sta rivelando un’opzione valida anche per tutte coloro che devono rimandare il momento in cui cercare un figlio, ad esempio, per la mancanza di un partner o di un lavoro stabile.

E’ questo il secondo caso: la causa sociale più frequente di ricorso alla preservazione della fertilità è la procrastinazione della ricerca della gravidanza che riguarda moltissime donne per motivi di studio, lavoro, assenza di un partner con cui progettare una famiglia. 

“Social Freezing”

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Anche se il ricorso alla preservazione della fertilità per motivi sociali è ancora relativamente poco frequente in Italia, ci sono paesi, come gli Stati Uniti, dove è diventato un approccio molto diffuso e spesso proposto dalle stesse aziende o datori di lavoro. L’obiettivo è prelevare e conservare gli ovociti idealmente nel periodo di massima qualità e di massima efficienza della funzione riproduttiva della donna, conservandoli opportunamente presso centri specializzati fino al momento in cui si decide di utilizzarli per procedure come la fertilizzazione in vitro e ottenere il concepimento, qualora questo non si verifichi spontaneamente. 

La cultura della preservazione della fertilità, un’opzione ormai consolidata in Paesi come la Spagna e il Regno Unito, inizia a diffondersi anche fra le donne italiane, che danno sempre più importanza al prendersi cura della propria capacità riproduttiva nei tempi e nei modi più consoni. Lo dicono i numeri, seppur limitati, di questi mesi di pandemia, con richieste di “social freezing” (la tecnica di congelamento degli ovociti, in questo caso per motivi non medici), raddoppiate nel 2021 rispetto al 2019. 

Le procedure e il percorso di preservazione della fertilità

Ovviamente, le procedure di preservazione della fertilità hanno maggiori opportunità di successo se a monte la donna adotta uno stile di vita il più possibile sano, perciò fondamentale rimane la prevenzione: Alcool, il fumo e la sedentarietà, sovrappeso o sottopeso, disordini dell’alimentazione, possono fare la differenza in questo senso, condizionando la qualità biologica degli ovociti. Il percorso di preservazione della fertilità prevede un protocollo di stimolazione ormonale da effettuare con specifici farmaci, il prelievo degli ovociti mediante un piccolo intervento chirurgico in sedazione, della durata di pochi minuti, e la loro crioconservazione in laboratorio tramite vitrificazione, una tecnica ormai diffusa e molto valida per mantenere inalterate le caratteristiche degli ovociti, per poterli utilizzare anche molti anni dopo.

Preservazione per motivi medici

La preservazione della fertilità in presenza di malattie o cure che prevedono l’utilizzo di farmaci potenzialmente tossici per l’apparato riproduttivo, è anch’esso meno frequente in Italia rispetto a quanto sarebbe opportuno e non sempre una donna con questa condizione accede facilmente a questa procedura o riceve almeno un’adeguata consulenza sulla sua fattibilità e tempistica. Questo aspetto è molto importante soprattutto oggi che la diagnosi precoce di molte patologie oncologiche e l’efficacia dei trattamenti proposti consentono un alto tasso di guarigione, con risultati molto diversi e migliori rispetto solo a pochi anni fa. L’aumento della percentuale di pazienti che sopravvivono dopo le cure oncologiche fa sì che questa tematica sia sempre più importante ed è quindi facilmente comprensibile che molte pazienti non rinuncino alla ricerca della gravidanza.  Non solo ai malati di tumore possono essere proposti tali approcci, ma anche a tutti i soggetti che hanno malattie che comportano l’assunzione di cure che danneggiano il sistema riproduttivo. Fra queste ci sono alcune malattie autoimmuni, anch’esse molto diffuse nelle persone in giovane età.

Fra i tumori femminili, quelli che espongono a un elevato rischio di perdita della fertilità sono quelli dell’utero e delle ovaie, ma anche alcune forme di leucemia e linfoma o il tumore del seno. Riguardo alle cure somministrate nei tumori, sia la chemioterapia che la radioterapia possono avere effetti molto negativi sulla struttura e sulla funzione degli organi dell’apparato riproduttivo. 

I fattori che permettono di prevedere il grado di danno provocato da queste cure sono:

  • tipo e dosi dei prodotti usati per la chemioterapia;
  • area interessata dalla radioterapia, dose di radiazioni e utilizzo di eventuali metodi di protezione;
  • via di somministrazione dei farmaci;
  • età della donna.

Esistono molti metodi utilizzati nella preservazione della fertilità nelle donne, alcuni più semplici altri più complessi. Per valutare la scelta migliore bisogna considerare due aspetti principali: il primo è il rischio di infertilità in base alla malattia e alle cure previste, il secondo è il tempo che si ha a disposizione. Spesso, infatti, è necessario iniziare al più presto le cure e,prima si somministrano, prima si ha la guarigione dalla malattia. Tuttavia, alcune delle procedure di preservazione della fertilità richiedono un certo tempo per essere eseguite. 

Quali approcci terapeutici possibili?

L’ approccio più semplice, è la somministrazione di farmaci che “mettono a riposo” le ovaie, mediante l’utilizzo dei cosiddetti GnRH agonisti, soluzione però che ha un’efficacia spesso non adeguata. 

Una procedura più complessa consiste nel trasferimento delle ovaie, mediante intervento chirurgico, dall’area sulla quale verrà somministrata la radioterapia, a una non interessata dall’irradiazione, come nel caso di alcuni tipi di tumori dell’utero. 

La crioconservazione di ovociti è un metodo altamente efficace, a patto che venga rispettato il tempo richiesto per la stimolazione ovarica, senza compromettere l’inizio delle cure necessarie. Oggi sono utilizzabili protocolli di stimolazione della ovulazione che possono iniziare in qualsiasi momento del ciclo, e questo accorcia molto il tempo necessario 

La crioconservazione di piccole parti di ovaio o parti di ovaio. E’ una tecnica ancora sperimentale, che consiste nel reimpianto successivo – a guarigione ottenuta – delle porzioni di ovaio.  

Questa tecnica può essere utilizzata anche nelle giovanissime donne che non hanno ancora avuto la prima mestruazione. E’ una procedura sperimentale, che comporta aspetti metodologici complessi, ma che consente di agire rapidamente programmando l’intervento nell’arco di pochi giorni. 

I professionisti devono condividere un’attenta valutazione delle priorità, da una parte inizio della cura per il tumore, dall’altra stimolazione delle ovaie e della raccolta degli ovociti. 

Una volta guarita la malattia e accertato che le cure che mettono a rischio la fertilità non sono più necessarie, si dovrà valutare come ottenere la gravidanza compatibilmente con la volontà della donna. Per questo si raccomanda di rivolgersi, per la preservazione della fertilità, a Centri attrezzati e con una vasta esperienza nel campo.

L’endometriosi e la procedura di crioconservazione

Tra le patologie croniche, che possono compromettere la futura probabilità di gravidanza, c’è l’endometriosi che in alcuni casi può compromettere in modo importante la riserva ovarica. L’endometriosi, inoltre, frequentemente recidiva anche dopo i trattamenti chirurgici. Le giovani donne affette da endometriosi sono pertanto potenzialmente candidabili ai programmi di preservazione della fertilità. Considerando l’elevata incidenza della patologia tra tutte le donne in età riproduttiva (10-15%) è doveroso proporre la procedura alle donne che veramente potrebbero beneficiare del programma, valutando i pro e i contro. 

L’esaurimento precoce della riserva follicolare legato all’endometriosi è principalmente dovuto agli interventi chirurgici per l’asportazione delle cisti endometriosiche nelle ovaie. Anche se a lungo oggetto di dibattito, è ormai chiaro che l’asportazione di cisti ovariche tramite stripping (strappo) laparoscopico comporta anche la perdita di tessuto sano, causando una riduzione dei livelli di ormone antimulleriano e del numero di follicoli primordiali ovarici, che rappresentano la riserva di fertilità femminile. È pertanto utile individuare categorie particolarmente a rischio di infertilità e che pertanto potranno con maggiore probabilità beneficiare della conservazione degli ovociti, Le donne affette da endometriosi, ma con almeno un ovaio integro e non affetto da cisti endometriosiche, hanno maggiore probabilità di mantenere un potenziale riproduttivo adeguato, rendendo il programma di crioconservazione meno utile. Ad ogni modo, tutte le situazioni vanno valutate attentamente caso per caso. 

La consulenza per la preservazione della fertilità può essere eseguita con uno specialista del Centro in una delle sedi indicate dal sito; la sede operativa del Centro è a Firenze, in via Giulio Caccini, 18.


Articolo scritto da Dr.ssa Veronica Sarais
Specializzatasi nella patologia della riproduzione umana presso Clinica Mangiagalli di Milano, ha proseguito i suoi studi e approfondito le sue competenze nell'ambito della fecondazione eterologa, preservazione della fertilità ed endometriosi, partecipando a numerosi congressi internazionali. Attualmente si occupa anche di procedure isteroscopiche diagnostiche ed operative nelle pazienti infertili.

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