Negli ultimi sette anni, i bambini nati grazie alle tecniche di fecondazione assistita sono aumentati del 169 per cento. Di pari passo è cresciuto anche il numero delle coppie che si sono rivolte alla PMA: più 77 per cento nel 2012 rispetto a dieci anni fa. Un vero e proprio boom di figli della provetta: nel 2005 erano 3.649, nel 2012 sono stati 9.818. Nello stesso anno le coppie trattate con Pma sono state 54.458, erano 30.749 nel 2005.
Sono i numeri contenuti nell’indagine del Censis “Diventare genitori oggi: il punto di vista degli specialisti”, svolta in collaborazione con la Fondazione Ibsa. Che tuttavia, accanto a dati positivi, mostra anche alcune ombre del panorama italiano. Per esempio, evidenziando come l’accesso alle tecniche di Pma sul territorio nazionale sia tutt’altro che omogeneo, e come gli italiani in materia di infertilità e cure ne sappiano ancora troppo poco.
Secondo gli specialisti intervistati (ginecologi, andrologi e urologi) il nostro paese è colpito da gravi problemi di natalità. Dovuti in parte all’aumento dei casi di infertilità (lo sostiene oltre il 90% dei medici), ma anche ai problemi economici, come ritiene il 75,3% degli interpellati. Queste stesse difficoltà economiche sono indicate come come ostacolo nell’accesso alle tecniche di fecondazione assistita. Complice anche la diversità nella qualità dei trattamenti offerti dalle diverse Regioni, visto che non in tutte è assicurata la gratuità delle cure (al Sud è privato il 69% dei centri). Inoltre – malgrado la sentenza di un anno fa che cancellava il divieto di eterologa nel nostro paese, – per il 60% degli specialisti intervistati questa possibilità in Italia non è ancora realmente disponibile.
A fronte di tutto questo il 76% degli specialisti auspica una revisione della legge 40, sulla quale il 14 aprile si esprimerà di nuovo la Consulta, stavolta in merito al divieto di accesso per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche (che accedendo alle tecniche potrebbero usufruire della diagnosi genetica preimpianto ed evitare così il rischio di aborto in caso di trasmissione di malattia).