Lo chiamano “ormone della fertilità”, perché fa recuperare le funzioni riproduttive a donne con bassi livelli di ormoni sessuali. Ma potrebbe avere un impiego importante anche nelle tecniche di procreazione assistita, diventando un’alternativa valida e più sicura della gonadotropina corionica umana (hCG) nella stimolazione ovarica. E’ questo il risultato di uno studio dell’Imperial College di Londra, presentato alla conferenza annuale della Society for Endocrinology di Edimburgo.
Nel trattamento convenzionale di fecondazione in vitro, i medici somministrano alle pazienti la hCG per indurre la produzione di molti follicoli (iperovulazione), così da poter prelevare un maggior numero di ovociti. Tuttavia in alcuni rari casi (circa il 2 per cento, ma con maggiore frequenza nelle donne affette da ovaio policistico) può verificarsi la sindrome da iperstimolazione ovarica, ovvero una produzione eccessiva di follicoli (15-20 o più), con conseguente produzione di estrogeno e un aumento notevole del volume delle ovaie.
In questo studio i ricercatori dell’Imperial College di Londra, in collaborazione con i medici dell’Imperial College Healthcare NHS Trust, hanno somministrato a 60 donne ad alto rischio di iperstimolazione ovarica e in trattamento con tecniche di PMA diverse dosi dell’ormone kisspeptin, in alternativa all’hCG. A 36 ore di distanza, gli ovociti sono stati raccolti e fecondati, e gli embrioni così ottenuti sono stati successivamente impiantati. Pur avendo ottenuto un buon numero di ovociti da fecondare, nessuna donna ha sviluppato la sindrome da iperstimolazione ovarica.
“Abbiamo dimostrato che l’uso di kisspeptin al posto dei farmaci convenzionali nel trattamento di PMA stimola la produzione di ovociti in modo sicuro, anche in donne ad alto rischio di sindrome da iperstimolazione”, spiegano i ricercatori. Inoltre i nostri risultati mostrano come l’uso della dose ottimale di kisspeptin abbia portato a tassi di gravidanza quasi doppi rispetto a quelli riportati con la stimolazione convenzionale nella stessa fascia di età. Serviranno però ulteriori studi – concludono gli esperti – per verificare la validità di questo nuovo trattamento.